Fare ritorno in uno Stato membro per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo ottenuto in un altro Stato membro non costituisce una pratica abusiva: è questo il principio espresso dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza 17 luglio 2014, Cause riunite C-58/13 e C-59/13 (Angelo Alberto Torresi e Pierfrancesco Torresi / Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata).
I giudidi del Lussemburgo tornano su questione importante per la professione legale, cioè i casi di coloro che hanno conseguito in Italia la loro laurea in giurisprudenza e poi hanno ottenuto lo stesso titolo in Spagna. Secondo la Corte per i cittadini dell’Unione, la possibilità di scegliere lo Stato membro nel quale acquisire il proprio titolo o quello in cui esercitare la propria professione, è inerente all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati.
Nella sentenza (nelle cause riunite C-58/13 e C-59/13), la Corte rammenta anzitutto che, al fine di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello di conseguimento della qualifica professionale, la direttiva sullo stabilimento degli avvocati istituisce un meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli degli avvocati migranti che desiderino esercitare la professione con il titolo di origine. Il legislatore dell’Unione ha inteso in tal modo porre fine alle disparità tra i requisiti d’iscrizione nazionali, da cui derivavano ineguaglianze ed ostacoli alla libera circolazione. La direttiva mira, quindi, ad armonizzare completamente i requisiti applicabili al diritto di stabilimento degli avvocati.
La Corte ha già statuito il certificato di iscrizione nello Stato membro di origine è l’unico requisito cui è subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante, affinché detto interessato possa esercitarvi facendo uso del proprio titolo professionale di origine .
La Corte sottolinea che ai singoli non deve essere consentito di avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione e che uno Stato membro ha il diritto di adottare ogni misura necessaria per impedire un’elusione abusiva della normativa nazionale da parte dei suoi cittadini. A tale riguardo, la Corte ricorda che l’accertamento dell’esistenza di una pratica abusiva richiede un elemento oggettivo (ossia che lo scopo perseguito dalla normativa dell’Unione non deve essere stato raggiunto, nonostante il rispetto formale della medesima) e un elemento soggettivo (cioè che deve emergere una volontà di ottenere un vantaggio indebito).
Il fatto che il cittadino di uno Stato membro, in possesso di una laurea conseguita nel proprio paese, si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi il titolo di avvocato e faccia in seguito ritorno nel proprio paese per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nell’altro Stato membro è la concretizzazione di uno degli obiettivi della direttiva e non costituisce un abuso del diritto di stabilimento.
Neppure la circostanza che la domanda di iscrizione all’albo degli avvocati sia stata presentata poco tempo dopo il conseguimento del titolo professionale nello Stato membro di origine costituisce un abuso del diritto, poiché la direttiva non prescrive un periodo di esperienza pratica nello Stato membro di origine.
La Corte ne trae la conclusione che non costituisce una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro in possesso di una laurea si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e faccia ritorno nel proprio paese per esercitarvi avvalendosi del titolo professionale ottenuto nell’altro Stato membro.
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